Raphael Arutyunyan

L’ originale e l’anticonformistico prevalgono sul banale e sul convenzionale nella vita creativa dello scultore Raphael Arutyunyan. Il rappresentante degli armeni, il “Popolo della Bibbia”, nato a Baku, la capitale di un’altra repubblica baciata dal sole quale quella dell’Azerbaijan, ha maturato la sua originalità artistica nel Nord Europa – in Estonia, dove nel 1966 si è diplomato presso l’Istituto di Tallinn di Belle Arti (Studi scultorei).

L’autore di opere straordinarie che sono state accolte con favore dai suoi colleghi e del pubblico oltre che da appassionati d’arte e collezionisti stranieri, non ha intenzionalmente mai venduto una singola opera a collezioni private, nonostante le frequenti e allettanti offerte.

Per tutta la sua vita, quasi dai tempi della scuola, Arutyunyan ha combattuto per il diritto di essere se stesso, di essere la personalità nell’arte, “l’arte per l’anima” e non “l’arte in vendita”. Il suo lavoro di laurea – un monumento di quattro figure per le vittime del ghetto ebraico di Odessa, provocò gravi dispute tra i membri della Commissione esaminatrice poichè erano ancora sotto l’influenza dello scandalo in seguito all’uscita del poema “Babij Jar” (Il massacro della gola di Babi Yar) di Eugeny Yevtushenko.

Molte delle idee dello scultore non sono mai state realizzate, ad esempio il progetto del monumento “Ombre della decadenza morale” (1976) o “Ripetuto in Cile” (1977). Durante il periodo di stagnazione, non c’era infatti posto per loro nel Piano di Stato di Propaganda monumentale poichè erano in contrasto con le norme della dottrina ufficiale del realismo nell’arte monumentale.

Memoriali come “Questo pazzo pazzo mondo” , “ Sindrome afghana”(1989), “Salikhard-Igarka strada interrotta” (1990), ‘Dedicato alle vittime dello Stalinismo” (1992) e altri ancora sembrano non curarsi di una fedele riproduzione in scala degli elementi e neppure di uno spazio concreto. Nella loro natura idealista e romantica, questi memoriali sono simili ai grandi monumenti utopistici del XX secolo come “Torre di Tatlin – Monumento alla III Internazionale” di Vladimir Tatlin e “Albero della Vita” di Ernest Neizvestny. Il complesso e policromo mondo artistico di Arutyunyan, dove tutto è mobile e mutevole, è pieno di energia intrinseca. Questo mondo è in grado di subire metamorfosi attraverso associazioni paradossali, evitando formazioni stagnanti e monotematiche nonchè limiti rigorosi di genere e aspetto.

Temi dai risvolti epocali, tragici e allo stesso tempo importanti, trovano realizzazione in opere relativamente piccole quali “Tempi difficili, 1937″ (1986), “Sole sopra il Ghetto” (1969), “Albero del dolore”(1975), “Una Figura nello Spazio”(1976), “Attenzione, Chernobyl”(1990) e anche nel lavoro decorativo “Madonna Nera” (1980).

La variopinta tavolozza di Arutyunyan è in grado di trasformare anche le più convenzionali combinazioni di colori in una vasta gamma di sfumature e significati.

Così, per esempio, il colore nero può suscitare vitalità e ottimismo nella composizione “Hula Hoop” (1969) ma, al contrario, colori vivaci e decorativi ne “La testa di un uomo Baltico” (1990) possono far sentire lo spettatore depresso e creare un’ atmosfera di disagio e angoscia.

In particolare, è da sottolineare l’abilità di Arutyunyan di riuscire a ottenere risultati impressionanti nelle sue opere servendosi di un’ampia varietà di materiali: marmo, bronzo, legno, granito, gesso e vari sostituti artificiali. Tuttavia, ciò che di lui colpisce, non è tanto la capacità di riprodure alla perfezione il soggetto rappresentato così com’è in natura; quanto la capacità di generare da qualsiasi materiale nuovi effetti visivi sconosciuti in natura, abbattendo così ogni limite tra materiali costosi ed economici. Non sarebbe un’esagerazione sostenere che questo Maestro ha una sorprendente capacità di rivisitare regole ed elementi consolidati dell’arte scultorea per farli rivivere, per uscire dagli schemi, per abbandonare terre artistiche magari scoperte da lui stesso e approdare in nuovi porti dove ricominciare dall’inizio.

Sceglierei come simbolo originale del suo infaticabile spirito innovatore la composizione a tre figure “Stato d’animo”. Guardandola, a prima vista sembrerebbe un’opera puramente decorativa, uno squisito trittico scultoreo, essa tuttavia racchiude inaspettatamente un’esuberante fantasia di plasticità ed una sapiente manipolazione dei dettagli, farsa grottesca e seria complessità tematica, impetuosi giochi di danze e calma armonia del ritmo melodico.

Altre opere di Arutyunyan possono servire come simbolo del suo complesso carattere emotivo e intellettuale. Molte di loro sono, in una certa misura, autobiografiche. “Sono in loro, sono in me”, questa confessione dell’autore può essere riferita alla scultura in bronzo “Danko” (1983) e al ritratto scultoreo “Minas Avetisyan”, la composizione “Armenoid” e il dipinto di Komitas. Allo stesso modo “Macigno decorativo” (1987) e “Un vecchio gnu” (1976), anch’essa a suo modo autobiografica, per quanto cosa inusuale nell’ambito del genere animalista.

Questo è il motivo per cui risulta davvero noioso per l’artista creare opere destinate semplicemente a decorare la stanza di una persona comune senza appagarne l’animo e concedergli una sensazione di benessere e conforto. Ciononostante, non è mai stato difficile per Arutyunyan raggiungere la perfezione estetica in grado di soddisfare la ricerca dell’edonismo da parte dei professionisti, appagando l’occhio con originali giochi di forme, con una virtuosa manipolazione del materiale e altre spettacolari raffinatezze unite ad effetti visivi.

Giacchè il Maestro, come uomo, è sempre stato in disaccordo con la cultura ufficiale, risulta ancor oggi per egli difficoltoso collocarsi all’interno di un mercato che predilige il profitto piuttosto che i valori ideologici. Arutyunyan, tuttavia, è attratto inevitabilmente da immagini che sono indirizzate alla “città e il mondo” e dalle immagini commerciali, intese in senso buono, influenzando attivamente un vasto pubblico senza restrizioni.

Alexander Sidorov
Critico d’arte, assistente del presidente dell’Accademia Russa di Belle Arti (1991).